Hai deciso di portare in scena la vita di Peppino Impastato. Come hai impostato la narrazione nella drammaturgia che hai scritto?
Col susseguirsi di eventi e con la forza della parola, le sue idee prendono forma e prende coscienza dei valori fittizi che il padre Luigi, capo di un piccolo clan di Cinisi, Sicilia, gli inculca sin dalla tenera età. Dopo l’uccisione dello zio Cesare Manzella, capomafia di Cinisi, Peppino, accerchiato da figure criptiche, riesce a prendere una posizione precisa: “combattere la mafia fino alla fine della sua esistenza!”.
È questo l’evento chiave del suo cambiamento.
Nello spettacolo si ripercorrono l’ingenuità fanciullesca, la presa di coscienza, e la ricerca del linguaggio. Un linguaggio canzonatorio, ironico, sarcastico per mettere alla berlina figure intoccabili di boss del quartiere, venerati come santi dai concittadini.