Le tue ispirazioni, i tuoi maestri.
Ho imparato da maestri iconici che è bene scrivere in modo implicito.
A me piacciono le storie con pochi dialoghi. Ad esempio mi ispira il cinema orientale. Perché il modo di vivere i sentimenti è latente, celato tra le righe.
Ad esempio nel film del regista giapponese Wong Kar Wai dal titolo “In The Mood For Love” (2000) ci sono pochissimi dialoghi, ma racconta tutto. Tutto ciò che c’è da dire su quel rapporto, su quella relazione, viene detto in maniera implicita attraverso lo sguardo. Non ci sono scene di sesso. Quel film è esattamente ciò a cui aspiro.
Allo stesso modo mi ispira Ferro 3 (2004) di Kim Ki Duk, regista coreano che è venuto a mancare l’anno scorso. Regista e sceneggiatore meraviglioso. Un film fatto di silenzi, eccetto qualche parola che il personaggio è costretto a far uscire. Le azioni sono tutto. I gesti sono più carichi di senso rispetto alle parole, anche nella vita credo.
I miei crucci personali sono i film romantici americani. Mi fanno cagare, gusto personale. Parlano troppo, e fanno poco di concreto. In amore, nella realtà come nella finzione, è necessario dimostrare, è necessario far vedere come ami. Perché le parole non bastano.
Credo che le parole svuotino l’intensità del momento e la sua tensione. I dialoghi fanno perdere il mistero che è necessario, nella vita come nella narrazione.